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6000 km di strada.

Due polaroid, una holga, una yashica, un iphone.
E una panda.

“Le possibilità creative del nuovo si rivelano in genere lentamente
attraverso quelle forme vecchie, quei vecchi strumenti e settori
espressivi, che in fondo, attraverso la comparsa del nuovo, sono già
liquidati ma che, sotto la pressione della novità incombente, si
abbandonano a un’euforica fioritura”. (Làzlò Moholy-Nagy)

“Ciò che la Fotografia riproduce all’infinito ha avuto luogo solo una
volta: essa ripere meccanicamente ciò che non potrà mai ripetersi
esistenzialmente”. (Roland Barthes)

Domenica 14 aprile alle ore 17, presso Lo Spazio di via dell’ospizio,
sarà inaugurata la mostra fotografica Nordway del Santimatti Studio.

La mostra racconta il lungo viaggio in Norvegia compiuto dai due
fotografi Filippo Giansanti e Fabrizio Pelamatti (componenti del
Santimatti Studio). Le foto sono realizzate con una pluralità di mezzi
fotografici: dall’holga 120 (del 1981) alla polaroid sx 70 (del 1972),
dalla polaroid big shoot (del 1973) alla yahica mat 6×6 (del 1975),
per finire con gli scatti attraverso l’iphone 4 (del 2011). La scelta
serve ad accentuare il carattere eterogeneo, inaffidabile e spesso
imprevedibile del mezzo e di conseguenza del risultato, in una
commistione di dispositivi vecchi e nuovi, in un alternarsi continuo
tra passato e presente dell’immagine fotografica. Allo stesso tempo
emerge il carattere giocoso e ironico del fare fotografia, dello
sperimentare, del cercare strade e imprevisti.
Dopo la mostra Residui del 2010, percorso fotografico attraverso i
manicomi abbandonati a trent’anni dalla legge Basaglia, e la mostra
Pasto nudo del 2011, materializzazione e scavo dell’universo
allucinato di William Burroughs, entrambi i progetti caratterizzati da
uno studio preliminare e da un allestimento ragionato e costruito
degli scatti, Il Santimatti studio si ripresenta con una mostra che
solo apparentemente sembrerebbe in contraddizione con il percorso
intrapreso fino ad ora. Le foto non hanno nulla a che vedere con la
dimensione da souvenir, da cartolina che un paesaggio come quello
norvegese ispirerebbe ad un fotografo amatoriale. I fotografi tentano
anche in questi scatti di costruire la scena come artificialmente
hanno fatto nei progetti passati. La differenza è che qui il set abita
nella scelta dell’ inquadratura abbinata alla casualità della polaroid
con la pellicola scaduta da vent’anni, risiede nella preferenza
accordata ai colori più allucinati del paesaggio così come alle ombre
più profonde dei bianco e nero. Centrale rimane l’occhio che
preventivamente indaga, studia, sceglie come se il set fosse già lì,
abitasse il reale, ne determinasse linee, direzioni, vie di fuga.
La Norvegia o la strada del nord (inseguendo il gioco di parole del
titolo) ha rappresentato, per Giansanti e Pelamatti, un
viaggio-ricerca all’estremo sul senso dell’immagine e sulla sua
elaborazione, sul mentre e sul dopo la fotografia, sull’apparato di
cattura che rappresenta e sulla possibile deriva (di significato, di
processo) che lascia aperta.
Senza dimenticare i 6000 Km con una Fiat Panda a metano.

m.p.

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